Intervista di Stefano Morelli
Rumore magazine (marzo 2008) n° 194

  • Anzitutto Saturno, vorrei chiederti una sorta d’introduzione sul tuo percorso formativo pittorico, specialmente relazionandolo al tuo tratto al contempo sacrale e fisico, iconografico. Dove possiamo rintracciare, in quale aspetto intendo, il punto di convergenza tra la tradizione classico-barocca e le avanguardie pittoriche del ‘900? Quali autori hanno influenzato il tuo indirizzo pittorico?

Voglio citare le opere di due artisti che ho sempre ammirato: “L’assunta” della Chiesa dei Frari a Venezia di Tiziano e “Azione sentimentale e “La priore des pauvres et le corps deSaints” di Gina Pane. Per quanto riguarda L’Assunta di Tiziano fondamentale è, anche, la sua collocazione, l’immagine d’insieme dell’altare, dell’abside con, al centro, l’opera. Un esempio di arte monumentale e ieratica a cui mi sono sempre riferito. In Gina Pane ho ammirato il suo senso del sacro e del rituale trasposto in un ambito contemporaneo…entrambi sono state delle scoperte fatte quando, nel decennio ’70 – ’80, studiavo a Venezia, ed insieme creano una sintesi del mio modo di intendere la ricerca artistica: da un lato la tradizione iconografica e dall’altro i conflitti, le provocazioni e le contraddizioni della ricerca contemporanea. Stilisticamente diversi ma uniti da una visione religiosa che è il fondamento della nostra cultura. Posso affermare che quel periodo è stato un momento fortunato per la mia formazione, dove il mio quotidiano era scandito da visite a Musei, Chiese, gallerie d’arte e la frequentazione dei laboratori del Liceo e dell’Accademia di Belle Arti. Ma non so dire se la mia vocazione alla figura è innata oppure si sia sviluppata nel corso di quegli anni, di fatto io ho sempre guardato il mondo con l’occhio dell’occidente.

  • E’ impressionante come tu sappia bilanciare in modo ieratico e viscerale l’equilibrio estetico tra luci ed ombre in rapporto con le forme del corpo…Sovente, anzi, in tutte le opere, la potenza espressiva, simbolica, direi anche energetica, giunge a un livello tale da rendere VIVA l’opera, la tela stessa. Come nasce un processo simile, profondamente iperrealista?

Non mi piace il termine “iperrealista”, è freddo. Invece, per quanto accurata, credo che la mia tecnica sia diversa, si possono individuare le vibrazioni delle pennellate e nell’insieme il quadro rivela i passaggi di una lavorazione che è in antitesi con la disciplina iperrealista. Io vedo il quadro terminato prima di cominciarlo, non faccio altro che assecondare l’idea. Il mio modello e la realtà, mi guardo intorno e, tecnicamente, copio quello che mi circonda sia che si tratti di corpi, sia che si tratti d’altro. E’ fondamentale l’esercizio visivo, disporre e vedere le cose affinché queste ti regalino un’emozione. Principalmente assecondo il mio gusto in generale, poi, tecnicamente, c’è il mestiere, il disegno soprattutto.

  • In seno alla domanda precedente, che ruolo riveste la partecipazione dei modelli da te scelti? Sostenevi, nella nostra prima telefonata, che di primaria importanza sono i riflessi, i profili, le molteplici identità che un singolo soggetto può donare (fatto che esalta l’aspetto mistico, psicologico ed esoterico dei tuoi quadri, a mio parere). Ergo, come nasce la scelta del modello visto che non usufruisci di professionisti, da quali segni o movenze ricade la scelta?

Non lavoro volentieri con professionisti perché sarebbe tutto troppo scontato e, in definitiva, “finto”. Io mi baso sulla volontà di ritrarre persone che manifestano la loro vera identità e una loro storia. Un presupposto che contribuisce a dare autenticità alle “vicende” che metto in scena. E’ naturale che una determinata idea abbia bisogno di un preciso modello umano, in genere aspetto di conoscere la persona che più si avvicina alle caratteristiche necessarie per il tipo di progetto che ho in mente. Poi, succede spesso, che sia il modello stesso a “suggerirmi” il soggetto del quadro, proprio in virtù de sue peculiari caratteristiche, sia fisiche che psicologiche. Non è prevista una particolare preparazione, solo una giusta naturalezza. Il risultato della posa non è una fotografia e questo facilita il ruolo del modello, perchè che non deve essere necessariamente “perfetto”, infatti con il disegno riesco a correggere ogni incertezza.

  • Mi è capitato di riflettere, durante la stesura, su un pittore-performer quale Nitsch (di riflesso anche Witkin con le sue deformazioni surrealiste), e a questo riguardo di esporti un interrogativo più esplicito sul simbolo e la sua valenza rituale. Nitsch in quest’ottica superava, se vogliamo, questo confine utilizzando parti organiche sia nei rituali che nelle opere pittoriche, tornando in qualche modo ad una dimensione più pagana nel rapporto col corpo. E’ corretto, di contro, dire che in te sopravvive una distanza mistico-cristiana, intrinsecamente poetica e sensuale, dove il corpo e il sangue trovano mediazione/rappresentazione nella visione artistica e rituale, riconducendosi sì al simbolo in senso primevo?

Chissà forse siamo più vicini di quello che posso immaginare, ma, operiamo in modo completamente diverso. Sicuramente artisti come Nitsch sono più radicali nella loro discesa nel tempo alla ricerca delle origini primeve. Il loro tentativo di riappropriarsi di quella dimensione è autenticamente vissuto, il rituale ha modo di svilupparsi fisicamente in uno spazio e solo successivamente viene documentato, l’azione è in qualche modo il simbolo stesso e contemporaneamente il superamento del tabù. E’ corretto dire che nel mio caso, invece, prevale quella dimensione mistico-cristiana che filtra la brutalità dell’espressione pagana della natura, a differenza di Nitsch io costruisco totem, “e dal momento che: “ogni totem vive nel tabù” (Paglia), si evince che non voglio verità o certezze, quanto piuttosto preservare il fascino del mistero primevo.

  • Il rosso, così quanto il nero e il giallo-oro, sono i colori più ricorrenti nei tuoi dipinti…Sono, immagino, quelli idealmente predisposti ad esaltare le virtù del corpo, i suoi messaggi, le sue forme. Ci terrei però a chiederti se questa valenza simbolica punta a ricavare (e provocare) reazioni psicologiche di un certo livello in Martyrologium, al di là dei collegamenti con i tratti passionali e carnali di Caravaggio.

Nel mio “disperato” tentativo di eludere l’aspetto decorativo in pittura, per alcuni periodi ho dipinto quasi in monocromo rosso. Semplicemente perché il colore mi piaceva. Attualmente ho una tavolozza più articolata, ma rimane costante l’utilizzo principale di colori quali rosso e nero. Anche se con una differente consapevolezza. Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, il più strettamente legato alla vita ma capace di evocare la morte. Non pretendo di essere originale, ma certamente provocare reazioni psicologiche. “Martyrologium”, richiama il rosso del sangue, dei santi visto il titolo, figure che adopero spesso per il semplice fatto che comunicano con la sfera celeste senza trascendere il mondo, dunque un soggetto ideale e che, se accostato alla giusta atmosfera anche cromatica, provoca, in me, una forte emozione.

  • Buona parte dei tuoi soggetti sono donne o bamini; in particolare è estremamente affascinante come risulti enfatizzato il potere originario del femmineo nonché l’innocenza ambigua del fanciullo/angelo. Possiamo leggere in questo la volontà di riaffermare la coscienza verso l’origine, verso ciò che è al contempo intatto, maestoso, puro, unito, in una società come quella odierna che aborra, stupra e uccide donne e bambini? Ossia soggetti-simboli che in realtà diventano martiri, o con la violenza o con gli stereotipi mediatici, poiché rappresentano tale origine panica?

Assolutamente si! Inoltre ritengo la donna è un soggetto ideale che tutto ingloba…tuttora rimane un mistero il potere che evoca…Modello delle raffigurazioni della “Grande Madre” che costellano i primi inizi della religione in tutto il mondo, del culto terrestre della fecondità della natura. La donna è all’origine del pensiero religioso ed è la natura stessa: “I cicli della natura sono i cicli della donna. Biologicamente la femmineità è una sequenza di ritorni su se stessa, che hanno un unico punto di partenza e di arrivo. La centralità della donna le dà una stabilità di identità. Essa non ha da divenire, ma solo da essere. E la sua centralità è un grosso impedimento per l’uomo, di cui essa blocca la ricerca d’identità. Pertanto l’uomo deve liberarsi, se non lo farà ricadrà semplicemente su di lei. Il ricongiungimento con la madre è un richiamo di sirena che ossessiona la nostra immaginazione…” (Paglia). Tuttavia i nostri bruti tentativi di appropriarci della natura sono assolutamente sterili e non cambieremo certo lo stato delle cose. Piuttosto sono propenso a pensare che: come genere maschile ci estingueremo e saranno le donne a salvare il mondo!

  • Nelle tele di Solange possiamo leggere il tentativo di ricondursi all’ermafroditismo (penso pure a Lautréamont), all’essere originario?

Credo di no, non ci ho mai pensato. I quadri con Solange pur nella loro eccentricità, sono frutto di un progetto che prevede il ritratto ciclico di lei in un arco temporale che, idealmente, và dai sette ai diciassette anni di età. Il risultato dovrebbe essere una sequenza di immagini della stessa “donna” di volta in volta diversa. Diversa non perché interpreta differenti ruoli, ma proprio perché è lei stessa che, in queste età, cambia sorprendentemente nel suo aspetto psicofisico. E’ incredibile trovarsi di fronte la stessa persona così “diversa” appunto di volta in volta, anche a distanza di soli pochi mesi.

  • Osservando i tuoi quadri e soffermandosi in particolare sulle differenze fra temi e tecniche, ad esempio sadomaso e pittura figurativa, si può parlare di un’estetica degli opposti? E’ semplice rappresentazione o una ricerca dei limiti? Questo può rivelare un nesso anche in ambito sonoro, ossia, per esempio, l’opposizione tra la sacralità dei Dead Can Dance e il radicalismo di Diamanda Galás?

Mi sono sempre piaciuti gli eccessi e le contraddizioni. E trovo che rappresentare tematiche che, forse, sono più vicine alla fotografia con una tecnica pittorica rinascimentale sia perlomeno “spiazzante”. Tuttavia non è una ricerca dei limiti la mia. Magari non è neppure una semplice rappresentazione decorativa, poichè, di fatto, esiste quell’opposizione tra misticismo e crudo realismo nei costumi, anche, sessuali che tende a disorientare ed a porci domande. Riguardo al parallelismo con i musicisti da te citati, posso senz’altro dirti che, purtroppo, mi sento più vicino ai Dead Can Dance piuttosto che a Diamanda Galas. Dico “purtroppo” non perché non apprezzi i DCD, ma solo perché ammiro moltissimo l’opera di Galas, e vorrei essere, nel mio lavoro, come lei, più radicale, ma con tutta la buona volontà non c’è paragone con la sua ricerca ed il suo coraggio.

  • Il corpo della Dea Madre è al contempo imperioso, prorompente, glorificante, ma mediato dall’ausilio della tecnologia (penso agli utensili infermieristici così quanto alle grucce tutor). In che rapporto sta il corpo-carne con il supporto freddo-tecnologico? Ipotizzi una convergenza carne-macchina, come in Ballard, o ne ricavi una sfida erotica del corpo, una sua esaltazione come nel caso dell’estetica bondage S/M? In che rapporto sta, se esiste tale similitudine, il corpo con la macchina da un lato e la pelle sintetica-plastica dall’altro?

Mescolo po’ tutto nella mia arte. Comunque, corpo e tecnologia si sposano benissimo di questi tempi, ed insieme hanno potenzialità evolutive che forse fatichiamo ad immaginare. Devo ammettere che apparati ortopedici, strumenti chirurgici e flebo, clisteri a altro che adesso non mi viene in mente, li trovo particolarmente belli e non nascondo di utilizzarli anche come vezzo decorativo. Ma il rapporto carne – metallo ha echi ben più complessi, che immediatamente mi rimandano ad epoche lontane, il medioevo per esempio. Proviamo a pensare, anche a livello iconografico, quanto materiale abbiamo che documenta questo connubio: accostare dei ferri chirurgici alla carne non solo in un contesto diverso da quello che comunemente li vede protagonisti, non può non far riflettere sul bisogno che l’uomo ha di sperimentare su se stesso i propri limiti. Personalmente mi interessano molto le implicazioni erotiche che il rapporto corpo-macchina evoca, e trovo che oggi a differenza del passato non ci sia più solo la percezione del dolore in questa dualità, ma piuttosto il contrario; in quanto la ricerca in generale ci ha fornito la capacità di trovare “naturale” l’ibrido al punto di trarne piacere…impossibile rimanere indifferenti a tali potenzialità.

  • Nel martirio, e specialmente nel suo legame con la mistica sperimentata dai martiri stessi, si evince il nesso tra dolore e piacere attraverso il corpo, inteso come tramite per ascendere ad un livello più alto di conoscenza e realizzazione; non a caso la sessualità (specie nelle sue forme più spinte) era intesa tradizionalmente ed esotericamente come viatico verso l’assoluto e l’unità. Ritieni che all’umanità sia necessario ricondursi a tale rapporto-concezione sacrale del corpo per ambire ad una nuova rinascita?

E’ noto che alcune biografie di santi e martiri cristiani riportano testimonianze su quanto il martirio la via più efficace per la percezione dell’assoluto: in altre parole, più il dolore era forte più si avvertiva la vicinanza a Dio. La peculiarità che ci distingue dal resto del mondo animale è la spiritualità, con tutto quello che il termine contempla anche e soprattutto in rapporto con il corpo fisico. Più prosaicamente, perché non sperimentare le potenzialità che il nostro corpo e spirito ci offrono? “L’ubersinnlich” (il piacere sovrasensuale) è un traguardo che necessita di un’iniziazione anche dolorosa, ma è noto ormai che piacere e dolore sono sensazioni che si fondono tra loro e sono necessarie insieme per una totale completezza cognitiva.

  • In Inner Dark, particolarmente, e Finis si trovano i riferimenti più espliciti all’estetica fetish e sadomaso (quindi il dolore-piacere inflitto e ricevuto quale strumento di odierno parallelismo verso il martirio in senso sessuale), momenti che ricavano un forte legame con l’approccio visivo e fotografico dei Die Form. Esiste un collegamento in queste opere con la sensibilità di Philippe Fichot?

I Die Form, sono stati anche la colonna sonora di una mia mostra “Fetish garden” di qualche anno fa. Tuttavia non posso dire di conoscere bene la filosofia di Philippe Fichot. Al di là di questo, trovo vi sia una sconcertante vicinanza tra i rituali sadomaso e alcune esperienze mistico religiose.
E’ curioso notare come in entrambi i casi vi sia una pratica dolorosa alla base di un percorso ritualistico per accedere ad un piacere psico-fisico straordinario capace di elevare la mente ad un’estasi che oltrepassa i limiti della percezione e della sensualità.

  • Le corna nella scienza tradizionale erano riferite alla potenza, al dominio e all’elevazione, non a caso associate a Saturno in quanto Kronos e Karneios; nonché utilizzate nelle società matriarcali come rappresentazioni della potenza della Dea Madre. Ho notato che in più occasioni, figure femminili a parte, anche tu ti sei rappresentato con le corna (ricavando quindi l’appartenenza nel nome al dio Saturno) Che ruolo dai a questa associazione? Considerando soprattutto l’ambivalenza simbolica collegata al dio e alle corna (solare-lunare, morte-vita, età dell’oro e reggitore dei saturnalia ma al contempo dio degli inferi), al fatto che nella maggioranza dei casi le corna rappresentate sono tipiche dell’Ariete, quindi solari e non lunari?

Le corna animali, nella mia opera, sono l’evoluzione di un elemento decorativo ( punte di ferro ) che risale a molti anni fa. Un complemento alla figura che è scaturito, allora, così, senza nessuna riflessione particolare: semplicemente sentivo forte il desiderio di aggiungere tale elemento alla figura ritratta. Dalle corone metalliche con punte acuminate, sono passato a forme coniche sempre in ferro per arrivare a creare delle specie di corna ancora in metallo, fino a giungere alle corna animali vere e proprie. Certamente, ora, le implicazioni sono molteplici e, naturalmente, se poste su una figura femminile, evidenziano il potere ctonio della Dea madre. Quello che mi piace è l’accostamento alle peculiarità femminili – Dionisiache di elementi rigidi, eretti che, anche se più o meno contorti, rimandano ad un universo maschile – Apollineo (potere terrestre unito al potere celeste). Chissà forse, inconsciamente, voglio rappresentare l’ermafrodita a cui facevi riferimento in una domanda precedente.

  • L’estasi mistica è un tratto dominante del martirio come fenomeno esperienziale, e nel “piacere del dolore” varca un confine percettivo che avvicina l’individuo umano all’assoluto. Dove nasce l’esigenza di trarre nella pittura classica e sacra il tramite per il “supporto carnale” contemporaneo? E’ un modo, infine, per sottolineare ulteriormente quanto il rituale religioso definisca l’esegesi dell’atto sessuale primordiale? Penso al tuo ‘riadattamento’ del Bernini (Teresaexstasy).

Ci sono episodi della vita dei Santi (vedi appunto quella di santa Teresa d’Avila) che sono emblematici per la “confusione” che generano tra quella che è o dovrebbe essere un’esperienza spirituale e quella che, invece, si percepisce come un’ desiderio fisico di provare “piacere nel dolore”. E comunque tutta la storia della religione Cristiana è costellata di episodi brutali a cominciare dalle Passione di Cristo e a seguire martirii e penitenze varie. Personalmente mi sento particolarmente attratto e affascinato dalla nostra religione, ho guardato con attenzione e piacere quello che l’iconografia cristiana ci ha lasciato e io voglio seguire, se così si può dire, questa tradizione. Magari per fare propaganda, visto il dilagare di certe culture iconoclaste… Solo che non intendo rifare sterilmente il verso ai grandi del passato, vorrei invece rapportarmi con il mio tempo storico. Una differenza sostanziale tra la mia opera e l’iconografia classica la si può notare nell’approccio all’immagine: In passato si partiva dalla concezione mistica del tema sacro e si finiva per sconfinare anche in ambito erotico (cito, per esempio, i San Sebastiano di Guido Reni), io faccio il contrario: parto dal tema erotico e dall’esperienza fisica per giungere ad un fine, diciamo così, più nobile…

  • I bisturi, e il richiamo alla chirurgia in genere, è un dettaglio che ritorna nella tua pittura e ti accomuna a certo immaginario estetico-sonoro del primo industrial e del power death noise (Atrax Morgue, SPK, Nurse With Wound, Slogun, Megaptera, ecc…). Possiamo leggere l’elemento chirurgico quale strumento per entrare nella carne, per aprirla (anche in senso figurativo ed esoterico, quindi percettivo) ed astrarne gli impulsi, le coscienze, primitive? Penso alle forbici presenti nell’imperiosa Amina, direzionate verso la vagina…

“Amina” è un’ opera che ha un’origine particolare, il mio primo quadro socialmente impegnato. E’ stato progettato insieme alla modella stessa, Amina appunto, che mi ha chiesto di realizzare un suo ritratto con connotazioni forti e relative a pratiche sociali quali mutilazioni, infibulazioni, sempre molto popolari in Africa. Credo si tratti del mio unico lavoro del genere. Un idolo ctonio violato dalla mano dell’uomo. Riguardandolo, in questo momento e riflettendo sulla domanda, il quadro mi fa pensare anche in sintesi della contrapposizione Apollo – Dioniso a cui facevo riferimento prima, che sta all’origine di tutta la nostra cultura. In breve: Amina è l’immagine della Dea madre, la figura ctonia per eccellenza, il mondo dionisiaco, contrapposto all’universo Apollineo, maschile, cerebrale qui raffigurato dai ferri chirurgici che direzionati verso la vagina simboleggia quella volontà di insediarsi nel grembo per conoscere ed impossessarsi del potere magico della natura, ecc, ecc…Direi che la tua domanda è risultata molto pertinente.

  • Nella serie Inner Dark suddividi i dipinti in 14 stazioni, più altre 12 con riferimento a Rachele e Giuditta. Vi si può leggere un tentativo de sadiano di enfatizzare o suggerire il dolore-piacere erotico provato da Cristo nelle stazioni della Passione? C’è questa volontà?

Si! Diciamo che le quattordici tavole dovevano richiamare la via dolorosa della passione. Un ennesimo capitolo che si riallaccia a quanto precedentemente detto in proposito.