Intervista a cura di Daniela Minuti Laearn Blogger

 

1. “Blood is my favourite colour”: vorrei partire da questa sua affermazione ricorrente perché mi sembra incarnare perfettamente il senso e la direzione della sua arte.

Qual è la suggestione che le rende così interessante il sangue tanto da assimilarlo idealmente ad un colore che si merita il posto di suo “preferito”?

Ogni quadro che realizzo, piccolo o grande che sia, deve possedere una sua “autorevole presenza”, non posso e non voglio pensare che un mio lavoro faccia solo da complemento d’arredo in una qualche casa. E poi, come diceva De Dominicis per le sue creazioni: “è lo spettatore che si espone all’opera e non viceversa”. La penso allo stesso modo, l’opera è! E deve avere una energia catalizzatrice. Il colore rosso, ovviamente, da il suo contributo in termini di pura visibilità. E, guarda il caso, il colore rosso richiama il colore del sangue. Io, senza sapere veramente perché, mi sento fortemente attratto-affascinato-suggestionato da questo fluido corporeo. E’ semplicemente evocativo! Esaustivo, nel bene e nel male… Mi piace!

2. I suoi dipinti sono chiaramente ispirati dall’arte sacra e questo include, senza ombra di dubbio, materie religiose, storiche, filosofiche e psicologiche: qual è la sua formazione, in questo senso?

Si. Tuttavia non ci sono particolari studi o ricerche in tal senso. E’ stato sufficiente studiare la storia dell’arte e andare a visitare le opre nelle chiese e musei. Poi, credo, di aver sempre avuto un mio personale senso del sacro. Determinato, in parte, da un mio gusto per il gotico-romantico-decadentista. Ma è anche una conseguenza della nostra tradizione religiosa. Subisco il fascino “inquietante” delle sue epifanie, vuoi nelle rappresentazioni di santi e Martiri, oppure nella monumentalità delle celebrazioni liturgiche. Non ultima,appunto, l’iconografia! Solo l’idea di un Dio fatto Uomo giustifica la mia visione artistica del mondo. Io continuo la tradizione iconografica dell’occidente.

3. Tutto si gioca sulle contrapposizioni e i contrasti forti: buio e luci dei chiaroscuri, dolore e piacere, sacro e profano. È una natura di ossimoro che sente anche dentro di sé e che le viene naturale esternare sulla tela o è una scelta meditata?

Non è così meditata la mia arte, ed io sono quello che dipingo. E’ qualche cosa che ho dentro, senz’altro. Non faccio nessuna fatica riguardo le idee e le cose che decido di dipingere. Mi piace dire che l’opera “accade”, anche con mia sorpresa, a volte. Mi lascio andare al mio gusto, ho una consapevolezza (anche tecnica) di come voglio guardare il mondo. Scelgo ciò che mi “appaga” e non contemplo niente che non mi dia “piacere”.

4. Concetti ricorrenti sono il nudo, il sesso e l’erotismo, il feticismo per alcuni strumenti (ferri da chirurgo) e del dolore (con la presenza del sangue, talvolta): elementi che, tutti insieme, generano nel pubblico sensazioni di sgomento, sorpresa, estasi. Di certo non si può dire che non corra dei rischi rispetto alla critica e al livello di commerciabilità delle sue opere.

Ha mai pensato, anche in passato, di porsi dei freni e dei limiti per avere un impatto più “soft”?

Non c’è niente di più triste che guardare una mostra d’arte in cui si coglie la matrice commerciale. Dove spesso ci si trova di fronte una serie di opere praticamente tutte uguali e cambia solo la misura ed il prezzo naturalmente. E mi viene in mente sempre la stessa cosa: pannelli decorativi, i quadri come se fossero piastrelle da collocare in casa. Ho sempre pensato che un’artista dovrebbe poter lavorare senza preoccuparsi di vendere le proprie creazioni per vivere. Inoltre, artisticamente parlando, il vendere con facilità le proprie opere dovrebbe far riflettere su quello che si sta facendo… Personalmente mi ritengo fortunato perché posso dedicarmi totalmente alla mia passione senza scendere a compromessi. L’idea di assecondare un determinato mercato mi deprimerebbe. Lavorare ad un quadro sapendo che è già venduto è, per me, impossibile. Io lo faccio prima di tutto per me stesso, poi in seconda battuta mostro, volentieri, le opere al pubblico e senza preoccuparmi se l’immagine può recare “disturbo” a qualcuno. L’egoismo in un artista è rispetto per il pubblico! Parto dal presupposto che l’opera deve emozionarmi, vorrei che fosse così anche per gli altri, ma si sa tutto è relativo. Ad ogni modo un certo “filtro” spesso lo me impongo malgrado tutto.

5. Nei suoi quadri i soggetti sono ritratti in assenza di spazio e di tempo, avulsi dalla realtà, in un’atmosfera quasi onirica. Questa scelta di non contestualizzarli in un periodo storico o in un ambito sociale ben preciso è voluta o riflette semplicemente il suo disinteresse per la rappresentazione società a favore di quella del singolo?

L’opera perfetta non ha tempo ed insieme rappresenta il proprio tempo. La pittura figurativa ha molti problemi criticamente parlando. Io scelgo di decontestualizzare i miei ritratti principalmente per non cadere in certi luoghi comuni (Duchamp li chiamava “Il piacere pittorico”). Comunque è vero che mi interesso al singolo piuttosto che al sociale.

6. Le persone rappresentate nei quadri sono sempre soggetti particolari, donne forti dalla personalità spiccata, padrone di sé e, talvolta, anche degli altri.

Come avviene la scelta dei soggetti?

Succede che mi imbatto in persone che hanno dei particolari requisiti e questo mi suggerisce delle idee. Da un lato c’è la personalità del modello e dall’altra la mia, insieme le due cose generano le immagini. E’ evidente che c’è un governo inconscio che regola le mie scelte, non giustificherei altrimenti tutta questa continuità. Tuttavia ho anche un quaderno di appunti dove mi segno le cose che voglio realizzare. E per completare al meglio un determinato progetto cerco le persone che più si avvicinano all’idea che ho in quel momento.

7. Ha spiegato in altre interviste che ogni ritratto inizia con una fotografia: ha mai pensato di utilizzare gli scatti per una mostra o di realizzare, comunque, un progetto fotografico parallelo all’attività della pittura?

No assolutamente! Non sono un bravo fotografo. Mi servo solamente del mezzo per ovviare ai problemi di tempo e arrivare quanto prima al lavoro finito, il quadro! Non c’è nessuna particolare attenzione nel far sì che la foto risulti bella, mi basta che sia leggibile. Inoltre lavoro  senza necessariamente allestire un set e nei gruppi mi capita spesso di realizzarli in più momenti , avendo cura solo di annotarmi dati tecnici. Non conservo a lungo i files una volta completato il quadro o il disegno.

8. Tra i temi sviluppati nei suoi dipinti c’è quello religioso (che, direi, è il principale): è evidente, come dicevamo, l’ispirazione proveniente dall’arte sacra ma c’è una forte presenza di una simbologia pagana.

Trova che ci siano tratti comuni in due mondi così contrastanti come quello cristiano e quello pagano e, se c’è, qual è il trait d’union che cerca per metterli in comunicazione nei suoi quadri?

Io mi ritengo un osservatore. Ho una concezione antropocentrica del mondo, contemplo tutto quello che gravita intorno alla persona. La condizione fisica, ovviamente, con tutte le varianti possibili, bellezza, autolesionismo, body modification, malattie, ecc.. E, naturalmente, la condizione spirituale! Ed anche in questo caso voglio avere un punto di osservazione diciamo così “neutro”. Esiste il bene ed il male, molto ben scandito anche in termini di immagini dalla nostra religione cattolica. Ed è esistita una religione precristiana e tuttora, suppongo, esiste ancora qualche forma di paganesimo legata a culti terrestri e sessuali. Camille Paglia diceva: “L’eros (natura) è sempre stata una spina nel fianco della religione (cultura)”

Ed è questo che mi ispira maggiormente. In sintesi: il passaggio dal culto terrestre (magia del ventre) al culto celeste (magia della testa). La contrapposizione Natura-Cultura. La creazione della cultura da parte degli uomini come “difesa” contro la natura femminile. Sempre parafrasando Paglia: Io dipingo l’essere umano che affonda per metà nelle viscere della terra e per l’altra metà che s’innalza verso sfere celesti”.

9. Qual è per lei (se ce l’ha) il ruolo dell’artista in questo periodo storico rispetto al suo coinvolgimento nel sociale che, come ha detto in precedenti interviste, non è un aspetto che a lei interessa particolarmente?

Infatti. E ribadisco il mio egoismo.  Ma mi sento di aggiungere anche che, indipendentemente dall’impegno politico-sociale, il mio lavoro darà comunque il suo contributo alle prossime generazioni. In definitiva l’Artista, anche il più misantropo, ha il suo ruolo sociale nel DNA. Testimonierà con le proprie opere la sua epoca, innanzitutto, ma suggerirà anche nuovi percorsi a chi saprà guardare…

10. Ho letto che la musica è una compagna fedele della sua attività di pittore e che predilige sia quella sacra che quella dark. Ci sono degli artisti che preferisce in assoluto o che l’hanno ispirata maggiormente?

Certo la musica l’ho sempre amata, ho bisogno di qualche cosa di preciso in termini di feeling con quello che sto facendo, tuttora ricerco con estremo interesse quello che penso possa piacermi. La musica mi accompagna durante l’esecuzione pratica del dipinto al cavalletto, ma soprattutto diventa particolarmente importante nel momento in cui mi guardo a distanza il lavoro. E’ in quel momento che l’immagine associata al suono evoca in me grande suggestione e inedite visioni. Sono stati molti gli artisti che con la loro musica hanno contribuito all’evolversi del mio lavoro, attualmente ascolto molto volentieri gruppi doom metal, cito alcuni: gli Ahab, Ea, Uaral, Howling Void… La musica sacra antica rimane comunque sempre presente: Orlando di Lasso, Pierre De La Rue, Gesualdo, Monteverdi, ecc….